lunedì 22 febbraio 2010

Se l'evoluzione passa per il quoziente familiare


Aiutiamo i nuclei a investire sui figli
Se l'evoluzione passa per il quoziente familiare

di Aldo Di Benedetto

L’evoluzione culturale è una peculiarità che contraddistingue la nostra specie rispetto alle altre; essa ha la sua origine e si esprime nel tempo della crescita e dello sviluppo dell’individuo. Studi di etologia comparata dimostrano che rispetto alle altre specie l’uomo, alla nascita e durante il periodo dell’infanzia, è assolutamente inadeguato al proprio sostentamento indipendente. Il suo sviluppo è rapido fin verso il quinto anno di vita e poi rallenta progressivamente fino alla pubertà, quando riprende energicamente fino ad assumere le dimensioni corporee, la maturità sessuale e l’intelligenza dell’adulto. «Questo freno nello sviluppo non trova corrispettivi in altre specie ed è esclusivo della nostra, ma non sarebbe sopportabile se non intervenisse il supporto familiare» che, attraverso il processo educativo, accompagna il bambino, in questa lunga fase di incubazione intellettuale. Un altro aspetto che ci contraddistingue e che ha segnato una tappa importante della nostra evoluzione è il “tempo dell’amore”. Studi di sociologia comparata hanno dimostrato che, mentre altre specie possono accoppiarsi solo in alcuni periodi dell’anno, nella donna ciò è possibile sempre, e pare che sia stata propria questa specificità biologica a gettare le basi per la creazione dei primi nuclei familiari stabili, che avrebbero innescato la nascita delle prime società organizzate e l’evoluzione della cultura. Perché educazione, apprendimento e cultura hanno un’unica matrice che precostituisce le sue basi sociali nel nucleo familiare. In seguito l’uomo è riuscito a raggiungere traguardi inimmaginabili e sorprendenti nel campo delle arti, della ricerca e della tecnologia, attraverso progressi ulteriori nel campo scolastico e accademico, senza mai perdere di vista il percorso educativo e culturale, unitario e coerente, della persona: famiglia-scuola-lavoro-famiglia. Ciò che si può trarre da tali insegnamenti è che il “piccolo uomo” ha bisogno di un supporto familiare, fatto di cure e amore materno e paterno, che lo sappia indirizzare e lo accompagni in un lungo processo di maturazione biologica e culturale, al cui termine avrà acquisito valori etici e morali che lo guideranno per tutta la sua esistenza. Il supporto familiare comporta un adeguato sostegno economico con cui la famiglia viene messa nella condizioni di investire sui propri figli che, una volta adulti, saranno attori e protagonisti della vita sociale. Oggi, invece, assistiamo a una frammentazione dei rapporti familiari, alla ricerca spasmodica di successo nel marasma mass-mediatico, alla ricerca di una pseudo identità sociale e lavorativa da parte delle donne e pure degli uomini. La globalizzazione e massificazione dei costumi eccita forme mercantili inappropriate e narcisistiche, disaccoppiando drammaticamente la nostra esistenza dalle nostre origini biologiche e culturali. Le politiche sulla famiglia passano in secondo piano rispetto alle esigenze dei mercati, della finanza e della banche. Il vero problema, allora, è quello rilanciare un’economia sobria e duratura connotata di seri valori sociali, fondati sull’equità, sull’etica e sul merito, un’economia che abbia il suo baricentro sulla famiglia quale soggetto fiscale che conta, che ha la possibilità d’investire sul futuro dei figli e sul benessere civile, economico e culturale. Alcuni economisti del lavoro, tra cui Pietro Ichino, sostengono che l’attuazione del quoziente familiare disincentiva l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, o di uno dei due componenti il nucleo familiare. È questa una visione parziale della questione perché la problematica non riguarda solo il numero degli occupati che, al contrario, come argomentato da Luca Pesenti nel suo libro Politiche sociali e sussidiarietà, in altre nazioni come la Francia, dov’è in auge il quoziente familiare, è in crescita. La posta in gioco è ben altra, perché un sistema fiscale equo a vantaggio della famiglia consente di «trovare un equilibrio virtuoso tra figli e lavoro, senza costringere le donne a lavorare ma neppure senza costringerle necessariamente tra le quattro pareti domestiche», ma l’aspetto più qualificante consiste nel ridare valore economico e sociale al nucleo familiare e al suo determinante ruolo educativo e formativo. Con una fiscalità vantaggiosa, i genitori avrebbero più tempo e più tranquillità per l’educazione dei propri figli, perché nessun asilo nido e nessun servizio sociale può sostituire l’amore e l’affetto di un padre e di una madre, la responsabilità generazionale nel guidare al meglio i figli nello sviluppo fisico e intellettivo. Un tema così importante non può essere lasciato solo alla disquisizione di esperti in economia del lavoro, ma deve essere oggetto di una urgente decisione politica lungimirante, il cui impatto potrà avere un rilievo e un riverbero ampio, sia in campo sociale ma anche economico e culturale. Se l’obiettivo principale della politica è di rilanciare l’economia attraverso l’incremento dei consumi e della produzione, ciò non può essere considerato un fine ma solo un mezzo per dare tranquillità economica e benessere alla società più giusta e genuina, a partire dalle famiglie, non per rimettere ciecamente in gioco un mercato gonfiato dagli speculatori della finanza che, non dimentichiamolo, sono stati i maggiori responsabili della grave crisi economica in atto.

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