giovedì 4 novembre 2010

Tasse a misura di famiglia


Tasse a misura di famiglia

Lanciata una nuova proposta di riforma fiscale dal Forum delle associazioni familiari sostenuta anche dalla Cisl

«Parole, parole, parole». Non sono solo il testo di una celeberrima canzone di Mina, ma anche le chiacchiere che sempre sono state fatte su una riforma fiscale a misura di famiglia. Da parte di tutti: istituzioni, partiti e sindacati.
«La priorità della riforma è la famiglia», è tornato ieri a dichiarare il ministro Tremonti sul cantiere del fisco appena aperto. Staremo a vedere se dalle buone intenzioni si passerà ai fatti. Il recente rapporto sulla povertà ed esclusione sociale presentato da Caritas e Fondazione Zancan ha evidenziato come «la principale vittima della povertà e dell’impoverimento» siano proprio le famiglie che solo nel 45 per cento dei casi sono al riparo della crisi in corso. Tutte le altre, il 55 per cento su 11 milioni di famiglie in Italia, hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, a onorare gli impegni presi e i debiti pregressi.

E, proprio nel giorno in cui si è aperto il tavolo di confronto tra governo e parti sociali sulla riforma fiscale, è stata lanciata dal Forum delle famiglie in unità d’intenti con la Cisl una nuova proposta di riforma del fisco denominata “Fattore famiglia”.
E mentre nel dibattito politico si sente spesso parlare di quoziente familiare, rifacendosi alle esperienze virtuose di Francia e Germania, di fatto tale prospettiva è stata già abbandonata dall’associazionismo cattolico per alcuni difetti congeniti quali il fatto di favorire i redditi più alti e scoraggiare il lavoro delle donne sposate. Il quoziente familiare è di per sé una proposta positiva perché per la prima volta considera la famiglia nel suo complesso come soggetto tassabile, supera l’individualismo che ha permeato anche il fisco facendo considerare solo l’individuo e non la persona con le sue relazioni, in primo luogo familiari.

Alla giusta obiezione che il quoziente familiare favorirebbe i redditi più alti, il Forum fa una nuova proposta prevedendo un’area non tassabile proporzionale ai carichi familiari: più persone sono presenti nel nucleo, maggiore sarà il reddito non sottoposto a tassazione. Si considera una No tax area partendo da un reddito medio di sette mila euro, la soglia di povertà per l’Istat, per una persona che vive da sola, fino a 42 mila euro di reddito per una famiglia con otto componenti. A differenza del quoziente familiare, il fattore famiglia agisce partendo dalla parte bassa del reddito e prevede aliquote impositive maggiori per redditi più alti. In tal modo si garantisce equità di vantaggio tra redditi bassi, medi e alti. Il peso dei figli viene adeguatamente riconosciuto e offre al federalismo fiscale una misura della ricchezza familiare che assicura parità di trattamento a livello nazionale e possibilità di intervento differenziato tra regioni e negli enti locali. Se si applicasse subito per tre figli a carico, costerebbe alle casse dello Stato 0,9 miliardi di euro. A regime, per tutti i figli, la cifra ammonta a 16 miliardi di euro. Si potrebbe cominciare dai più poveri e dalle famiglie con redditi più bassi. Il maggiore reddito netto disponibile avrebbe ripercussioni positive sui consumi, sul gettito Iva, creando un circolo virtuoso di cui godrebbe l’intera società ed anche le casse dello Stato. Una sorta di volano nella logica del «date e vi sarà dato». Si spera, ora, che con l’appoggio della Cisl alla proposta e ad uno schieramento bipartisan in Parlamento si riesca a raggiungere l’obiettivo di una riforma fiscale a misura di famiglia.

http://www.cittanuova.it/contenuto.php?idContenuto=28450&TipoContenuto=web

mercoledì 27 ottobre 2010


Il paese delle culle piene qui il welfare non è un sogno

Il numero medio di figli è 1,61 e supera anche quello dell'Unione europea. Dalle regioni ricche come il Trentino e l'Emilia riparte la natalità, con l'aiuto delle immigrate. Le aziende si modellano sulla presenza femminile con orari flessibili e più congedi

BOLZANO - C'è un pezzo d'Italia dove i bambini continuano a nascere. Dove le culle sono piene e non vuote. Dove il tasso di demografia supera la media europea, e dove "essere famiglia" più che un evento straordinario sembra essere diventato la normalità.

Siamo a Bolzano, Alto Adige, provincia autonoma e porta delle Dolomiti, risalendo il paese secondo le statistiche dell'Istat, in una regione in cui la crescita zero appare lontana, e il numero medio di figli per donna, 1,61, distanzia e non di poco la media nazionale ferma a 1,42, e quella della Ue, dove il tasso di fecondità è di 1,52 bimbi per ogni mamma. Bisogna venire qui per capire quest'Italia rovesciata, dove al Sud storicamente "ricco" di bambini e oggi con la demografia in caduta libera, si è sostituito quest'angolo di Nord Est, tra vigne, montagne e filari di mele, in cui le aziende provano ad essere family-friendly, a conciliare lavoro e famiglia, la crisi c'è ma si vede un po' meno e gli ospedali hanno il record positivo di parti naturali.

Da 0 a 3 anni i più piccoli possono contare su una rete capillare di asili nido, micro-nidi e tagesmutter (gli asili a domicilio), le famiglie ricevono sostegni statali, regionali e provinciali, muti agevolati e trasporti gratuiti, le aziende concedono part time, telelavoro. E così a Bolzano come a Trento, capitali italiane della demografia, i bambini continuano a nascere, "sostenuti da un welfare in affanno ma ancora forte", sottolinea Eugenio Bizzotto, del Dipartimento per la Famiglia della Provincia di Bolzano, anche se i bollettini dell'Astat, l'istituto locale di statistica, ricordano che qualche anno fa andava ancora meglio.

I tagli ci sono, anche qui. Ma all'asilo nido comunale "Il grillo parlante", struttura di legno e vetro circondata da prati e montagne alla periferia di Bolzano, nel tepore dell'ora della siesta, il mondo dei bambini sembra essere protetto da un filtro di serenità e cura. Il più piccolo ha 5 mesi, il più grande 3 anni, le stanze sono in penombra, i lettini tutti occupati, nel silenzio si sentono i loro respiri regolari. Intorno spazi ampi, colori, grandi oblò perché i muri non siano cesure dello sguardo, c'è l'angolo dell'arte, la stanza dove si sta a piedi nudi per scoprire la differenza tra le cose, come una montagna granulosa di farina di polenta o un sacco pieno di oggetti. Al piano di sopra c'è il luogo dei travestimenti, i bagni hanno le vasche per i giochi d'acqua, e un ascensore conduce alla palestra con il teatro.

«Qui usiamo soltanto pannolini di stoffa e cibi biologici - racconta Roberta Passoni, coordinatrice del nido - e possiamo ospitare fino a 42 bambini. Per realizzare l'asilo abbiamo a lungo lavorato con gli architetti, perché tutto potesse rispettare e stimolare la creatività dei più piccoli, ed essere un luogo accogliente anche per i genitori, che possono lasciare qui i figli fino alle 15,30 del pomeriggio, mentre altri nidi sono aperti fino alle 18. Del resto il nido deve permettere di conciliare famiglia e lavoro, e noi cerchiamo di rendere il distacco tra la casa e il "fuori" il più lieve possibile».

È dalle regioni ricche come il Trentino Alto Adige o l'Emilia Romagna che il tasso di natalità è ripartito in Italia, seppure con il congruo sostegno dell'immigrazione. "Sono soprattutto le donne con 35 anni e oltre - si legge nel bollettino dell'Astat sulla natalità in Alto Adige - e principalmente quelle di nazionalità italiana, ad aver fornito il maggior apporto al recupero della fecondità locale", con una percentuale dell'80% di nascite italiane, e il 20% dovuto alle donne immigrate. Conferma Alessandro Rosina, professore di Demografia alla Cattolica di Milano: «Gli esempi di welfare positivo lo dimostrano: più servizi e più occupazione femminile portano ad una maggiore natalità, creando quel famoso ambiente family-friendly che dà fiducia e ottimismo alle coppie e le spinge a fare anche più di un figlio. In Italia però le isole felici sono ancora pochissime».

E per trovare un esempio "virtuoso", certificato addirittura con il "Metodo Audit", sistema di valutazione tedesco che premia i luoghi di lavoro che applicano strategie di conciliazione, bisogna salire a Postal, sopra Bolzano, tra natura e silenzio. L'azienda è la Dr Schar, leader europeo nella produzione di alimenti senza glutine, torte, biscotti, pane, pasta, e arrivando è proprio l'odore del pane fresco che si sente per tutta la valle. Dentro invece è come entrare in un'astronave ad altissima tecnologia, dove ogni "pezzo" viene impastato e infornato secondo rigorosi criteri scientifici. Un'azienda giovane, in veloce espansione, 189 dipendenti di cui 91 donne.

«Proprio l'alta presenza femminile nella nostra azienda ci ha portato ad attuare misure come gli orari flessibili, il telelavoro, il part time, l'estensione di sei mesi dei congedi di maternità - dice Herbert Spechtenhauser, direttore delle risorse umane - e non avendo ancora un asilo aziendale paghiamo ad ogni lavoratrice il 30% del costo di una tagesmutter. Spesso anche i neo-padri usufruiscono del congedo di paternità, e tutto questo si è trasformato in un rapporto di alta fidelizzazione con i dipendenti e in un bassissimo ricorso alla malattia».

Mamme che lavorano e culle piene. Nel 2009 nella provincia di Bolzano sono nati 5.232 bambini, di cui 1700 nel reparto di Ginecologia e Ostetricia diretto dal professor Sergio Messini. «Abbiamo strutturato le sale parto come se fossero delle stanze di casa, il travaglio si può fare nell'acqua, sul soffitto tante luci ricordano un cielo stellato, mentre aromi, massaggi e musica rendono questa fase più lieve, meno dolorosa.

Le donne sono libere di scegliere la posizione che preferiscono per partorire, ognuna ha un'ostetrica tutta per sé, che la segue anche dopo, a casa - spiega Sergio Messini - ma siamo in grado di organizzare un cesareo in 5 minuti e abbiamo un reparto all'avanguardia per le patologie neonatali. E questo recupero della "naturalità" pur nella totale sicurezza medica, ci ha portati ad avere il minor numero di parti cesarei in Italia, circa il 20% contro il 35% della media nazionale. Avere figli del resto è un fatto normale, oggi invece è diventato un evento straordinario e raro…».
http://www.repubblica.it/cronaca/2010/10/16/news/culle_bolzano-8109036/

mercoledì 13 ottobre 2010

FAMIGLIA: PD, BONUS DI 3.000 EURO L'ANNO PER 3 ANNI PER OGNI FIGLIO


FAMIGLIA: PD, BONUS DI 3.000 EURO L'ANNO PER 3 ANNI PER OGNI FIGLIO

(ASCA) - Roma, 9 ott - All'assemblea nazionale PD il documento sul fisco riserva un paragrafo specifico alle famiglie introducendo la novita' del ''bonus per i figli'' di 3000 euro l'anno per ogni figlio, da introdurre a partire dalla fascia 0-3 anni per estenderla gradualmente anche ai figli piu' grandi, ma si punta anche al potenziamento dei servizi di cura come sostegno alle famiglie e all'incentivazione dell'occupazione femminile.

''Nell'ambito della discussione abbiamo voluto soffermarci sulla nuova proposta avanzata solo pochi giorni fa dal Forum delle Associazioni familiari intitolata 'fattore famiglia' -ha spiegato Cecilia Carmassi, della segreteria del Pd, responsabile alle Politiche per la Famiglia- sulla quale esprimiamo un grande interesse e la soddisfazione per un contributo che abbandona il tema del quoziente familiare (che avevamo sempre criticato perche', per esempio, favorisce i redditi piu' alti e penalizza l'occupazione femminile), mentre avanza proposte innovative come il tema della 'no tax area' come riconoscimento del fatto che una parte del reddito deve essere dedicata a sostenere le necessita' primarie della persona e che queste necessita' crescono al crescere dei carichi familiari''.

''Registriamo -ha detto Tiziano Treu, presidente del Forum PD sulle Politiche per la Famiglia- significative convergenze tra le proposte del Forum delle Associazioni familiari e quelle elaborate dal PD, convergenze che renderanno piu' agevole e produttivo un confronto piu' approfondito che nelle prossime settimane svilupperemo per definire una piattaforma sulle politiche della famiglia ampia e condivisa''.

sabato 9 ottobre 2010

Vuoi risparmiare sulle tasse? Divorzia


Vuoi risparmiare sulle tasse? Divorzia

A una coppia di coniugi milanesi è stato consigliato di separarsi per salvare il bilancia familiaredi Carlo LottieriÈ nota la situazione di quelle vedove che, per mantenere il diritto alla pensione di reversibilità legata al marito defunto, decidono di sposarsi soltanto in chiesa: unendosi in matrimonio davanti a Dio, ma continuando una vita da single di fronte allo Stato, al fine di non perdere il vitalizio. Ora però ci si trova a fare i conti con un caso nuovo, dato che - come spiegava ieri «IlSole24 Ore» - a una coppia è stato consigliato di divorziare per migliorare il proprio bilancio.

La vicenda è la seguente. Una signora milanese di 64 anni che ha lavorato soltanto 15 anni e quindi ha diritto a una pensione minima, in realtà non riceve i 500 euro che le spetterebbe, ma solo 192 euro, dato che il marito ha un reddito superiore ai 17 mila euro annui. Per giunta, non è neppure considerata interamente a carico del coniuge dato che supera di un centinaio di euro la soglia minima dei 2.840 euro annui. Per tale ragione la coppia subisce uno svantaggio all'incirca di 800 euro in più di imposta, senza poter beneficiare della gratuità dei farmaci e neppure dell'opportunità di detrarre tali costi dalla dichiarazione. Il quadro generale ha tutti gli elementi di una trappola, poiché abbiamo persone che stanno peggio di quanto sarebbero state se avessero avuto entrate inferiori. Se i coniugi avessero guadagnato un po' meno, avrebbero ottenuto una serie di vantaggi che, a conti fatti, ne avrebbero migliorato la situazione. Sembra un'assurdità, eppure è l'esito prevedibile di quel processo di sovraproduzione legislativa destinato per sua natura a causare, presto o tardi, conseguenze non volute: e quasi sempre si tratta di conseguenze spiacevoli.

Stando alle cronache, la donna non lascerà il marito, anche se le costerà caro. Ma certo la vicenda deve aprire gli occhi su come la produzione continua di leggi finisca per avvitarsi su di sé.

Si pensi alla condizione di chi ottiene un minimo aumento di reddito che lo porta, però, a perdere il beneficio di taluni servizi sanitari gratuiti, a pagare una retta più alta per l'asilo del figlio, e via dicendo. Chi ha predisposto le singole regole ha operato con la convinzione di aiutare i più deboli, introducendo tariffe differenziate, ma non si è reso conto come tutto questo inneschi meccanismi perversi.

In questo welfare caotico che mescola norme di diversissima provenienza può accadere - come nel caso ricordato - che sia conveniente guadagnare meno. E lo sanno assai bene quegli artigiani che quando tracciano a inizio dicembre un bilancio di massima della loro attività si rendono conto come sia opportuno smettere di produrre: proprio per evitare penalizzazioni.

Dinanzi a ciò è giusto indignarsi, ma non ci può stupire, dato che il legislatore è un «pianificatore» determinato a organizzare la società secondo un proprio disegno, ma che dispone di una limitata conoscenza della realtà: né potrebbe essere diversamente. Per giunta ogni norma viene ad aggiungersi a un sistema normativo già esistente e di grande complessità, così che è difficile per chi lavora in Parlamento avere sotto controllo tutte le implicazioni delle scelte che vengono assunte. Alla fine ogni norma nuova interviene in un quadro farraginoso ed è approvata da soggetti inconsapevoli di come essa s'innesterà sull'ordine giuridico complessivo.

C'è solo una via di uscita: chiedere al Parlamento e ai mille altri attori della ragnatela di norme in cui viviamo di limitarsi. Se le catene del nostro tempo sono costruite con la carta di burocrati e legislatori, è bene chiedere loro di astenersi quanto più sia possibile.

Per giunta è opportuno che il sistema di welfare si semplifichi. Se proprio si vuole tenere in vita un sistema redistributivo, si usi una leva e solo quella. Si dia più soldi a chi non ha, ma poi non si introducano altri vantaggi quando si deve fare un abbonamento al tram, acquistare un farmaco e via dicendo.

Se non si farà così, ci si troverà di continuo a sorprendersi di fronte a coppie spinte a separarsi non perché sia finito un amore, ma perché l'ordine giuridico è impazzito. E ci fa impazzire sempre di più.

Da Il Giornale, 8 ottobre 2010

giovedì 7 ottobre 2010

Una famiglia su 3 non autosufficiente

Crisi: Ania, una famiglia su 3 non autosufficiente

ROMA (MF-DJ)--Una famiglia su tre si trova in difficolta' per sostenere i costi di malattie gravi e di condizioni di non autosufficienza o per la perdita di reddito del capofamiglia.

Questi i risultati di un'indagine realizzata dal Censis per il Forum Ania-consumatori. I cittadini chiedono un welfare piu' efficiente e protettivo, che puo' essere realizzato con un maggiore coinvolgimento del volontariato, delle regioni e delle imprese. Dal confronto che il Forum ha sviluppato su questo tema nasce la convinzione comune che il sistema attuale e' statico e non piu' adeguato a rispondere alle esigenze dei cittadini. La non autosufficienza e l'impossibilita' di pagare le spese mediche rappresentano la prima paura degli italiani, piu' sentita della criminalita' e della disoccupazione. A cio' si accompagna la richiesta di un welfare piu' protettivo, efficiente e responsabile, che dia risposte concrete a tutti i cittadini sui temi della sanita' e della previdenza. com/liv

http://www.borsaitaliana.it/borsa/notizie/mf-dow-jones/italia-dettaglio.html?newsId=781819&lang=it

mercoledì 29 settembre 2010

DISLESSIA: ORA RAGAZZI E FAMIGLIE SARANNO TUTELATI

DISLESSIA: AID, SODDISFAZIONE. ORA RAGAZZI E FAMIGLIE SARANNO TUTELATI

(ASCA) - Roma, 29 set - Dopo un lungo percorso legislativo e' stata approvata oggi dal Senato la legge che riconosce e definisce alcuni disturbi specifici di apprendimento (DSA) in ambito scolastico quali dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia. Una norma, quella approvata oggi in sede deliberante dalla 7a Commissione permanente (Istruzione pubblica, beni culturali, ricerca scientifica, spettacolo e sport) che riconosce l'esistenza di questi disturbi stimolando la scuola a individuarli precocemente e definendo i luoghi del percorso diagnostico. ''C'e' soddisfazione perche' l'approvazione di oggi giunge dopo un lungo iter normativo che attesta l'esistenza ed estende la tutela legale per i circa 350.000 ragazzi, pari al 5% della popolazione in eta' scolare, che sono affetti da questi disturbi'', ha affermato il presidente dell'AID (Associazione italiana dislessia), Rosabianca Leo.

La legge, per cui sara' previsto un finanziamento di 2 milioni di euro complessivi per gli anni 2010-2011, sancisce il diritto a usufruire dei provvedimenti compensativi e dispensativi lungo tutto il percorso scolastico compresa l'Universita' e assicura la preparazione degli insegnanti e dei dirigenti scolastici. Per le famiglie sara' inoltre garantita la possibilita' di usufruire di orari di lavoro flessibili. Inoltre, qualora non sia disponibile effettuare diagnosi presso le strutture del Ssn, la legge da' la possibilita' di effettuarle presso strutture accreditate.

''Sono soddisfatta, anche come genitore - prosegue Leo - perche' questa legge riconosce finalmente dopo tante battaglie l'esistenza della dislessia e di altri disturbi specifici di apprendimento stimolando la scuola a individuarli precocemente e definendo i luoghi del percorso diagnostico e didattico. Stiamo gia' lavorando con il ministero dell'Istruzione, di cui abbiamo apprezzato la volonta' di affrontare il problema, in merito alle linee guida sulla legge. Certo e' che siamo solo all'inizio di un percorso che dovra' essere avviato con le scuole, soprattutto sul tema della formazione dei dirigenti scolastici e le strutture del Servizio sanitario nazionale. Il testo e' certamente un salto di qualita' rispetto al passato ma va migliorato sia sotto l'aspetto della valutazione sulla sua effettiva applicazione sia per esempio con l'inserimento di sanzioni per chi non rispetta la normativa. Siamo consapevoli, come Associazione, che le cose non si cambiano in poco tempo ma l'approvazione di oggi ci conferisce piu' forza per migliorare il testo e per tutelare meglio i diritti delle persone con disturbi di dislessia. Infine, un ringraziamento va a tutti i senatori e i deputati che in questi anni si sono impegnati per far approvare la legge.

Desidero poi anche ringraziare la Fondazione Telecom Italia, partner della nostra Associazione, per la collaborazione che ci ha assicurato nel portare avanti importanti iniziative di formazione, informazione e supporto agli studenti anche in assenza di questa norma. Progetti sui quali Fondazione Telecom Italia investe 1,5 milioni di euro e che da domani potranno ulteriormente svilupparsi in tutto il Paese a sostegno dell'attivita' didattica istituzionale''.

sabato 25 settembre 2010

Se sta bene la famiglia cresce il paese.


Vi invio la prefazione Antonio Sciortino (Famiglia Cristiana)al nuovo libro di Francesco Belletti (presidente del Forum Nazionale delle associazioni famigliari) dal titolo Ripartire dalla Famiglie edizioni Paoline che trovate il libreria in questi giorni.

Da consigliare o regalare ai politici o amministratori locali.



Capitale familiare
Se sta bene la famiglia cresce il paese. E non bastano briciole di Finanziaria

In un momento di crisi quale quello che stiamo vivendo, non solo economica ma, ancor di più, etica e morale, se c’è un punto cui è possibile ancorarci è la famiglia. Pur con tutti i suoi problemi, che sono tanti. Se però, oggi, il paese sta in piedi, dobbiamo dire grazie alla famiglia, che è rimasta il miglior «ammortizzatore sociale» delle principali inefficienze sociali e istituzionali. La famiglia, infatti, si fa carico della grave mancanza di lavoro dei giovani (in sei regioni d’Italia più del 30 per cento sono disoccupati); si prende cura delle persone con disabilità (sette casi su dieci sono a totale carico familiare, senza aiuti istituzionali); assiste gli anziani, sempre più numerosi e bisognosi d’attenzione, che un tempo erano una risorsa per le nuove generazioni, mentre ora pesano sui bilanci familiari.
Ciò nonostante, la politica ignora la famiglia e non le riconosce quel ruolo pubblico e gli aiuti necessari perché possa svolgere al meglio il proprio ruolo nell’educazione dei figli. Che non sono un bene privato, ma rappresentano il futuro e la speranza di un paese. La famiglia non chiede l’elemosina allo Stato o le briciole che avanzano dalla Finanziaria, dopo che i politici si sono spartiti il «tesoro». Richiede quel che è un suo diritto, così com’è previsto dalla nostra Carta costituzionale («La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo», articolo 31).

Troppo presto, in tanti hanno suonato le campane a morto per la famiglia d’oggi, oggetto di pesanti attacchi concettuali ed etici, nonché priva di politiche familiari strutturali e durature, che non sono certo quei provvedimenti saltuari e sporadici, tipo «bonus», «social card» o «una tantum» con cui i politici pensano di metterla a tacitare. L’Italia dedica alle politiche familiari solo l’1,1 per cento della propria ricchezza (Pil), a fronte della Francia e della Germania che investono rispettivamente il 2,5 e il 3,4 del loro prodotto interno lordo.
In un paese con il più basso tasso di natalità al mondo, l’Italia non è in grado di invertire questa tendenza, che i vescovi, di recente, hanno definito «suicidio demografico». Che avvia il paese a un lento, ma inesorabile declino, senza più futuro e speranza. La piramide della popolazione s’è, terribilmente, rovesciata.

Le proiezioni statistiche ci dicono che, nel 2050, il divario tra gli anziani e i super anziani (oltre gli 85 anni) sarà macroscopico: quasi 21 milioni di vecchi e solo 8 milioni di giovani. Un paese così non può davvero stare in piedi. E, allora, di che cosa si occupano i nostri politici, se questa prospettiva non sembra sfiorarli, tanto meno inquietarli?
Eppure, la famiglia è uno di quei temi che non ha colore politico. Appartiene a tutti, perché non è di destra, né di centro, né di sinistra. Se sta bene la famiglia, sta bene il paese. Se cresce la famiglia, cresce anche il paese. La famiglia ha tanti problemi, ma non è «il problema» del paese. Anzi, come dimostrano tante ricerche, essa è una vera «risorsa». Da riscoprire. Perché investire sulla famiglia, anche se costa e ci vogliono soldi veri, è il migliore investimento che il paese può fare. Non si può dire alle famiglie di spendere per far ripartire i consumi, se nelle loro tasche non si lascia neppure un centesimo. Non è invenzione della stampa che, ormai, per la spesa non arrivano più alla terza settimana del mese...
La famiglia (e Belletti ne parla in questo libro, rifacendosi ai Rapporti del Cisf) è un vero capitale umano, sociale e anche economico. L’esperienza dimostra che, in questa grave crisi, le nazioni che meglio e prima ne stanno uscendo sono proprio quelle che hanno adottato politiche familiari strutturali, degne di questo nome.

Sia pure svillaneggiata e irrisa da giornali e tv, che mettono in scena una «famiglia mediatica» (le «allegre famigliole allargate» dove non si capisce chi sono i genitori, i fratelli o gli zii), facendo calare, invece, una spirale del silenzio su venti milioni di famiglie fondate sul matrimonio, la cosiddetta famiglia tradizionale non è affatto da rottamare. Tanto meno è qualcosa che riguarda i nostri nonni e il passato. (...)

A ogni passaggio elettorale i politici hanno promesso di tutto e di più alla famiglia. Almeno a parole, l’annoverano non tra i costi, ma tra le risorse del paese, annunciando piani nazionali a favore della vita e della maternità. L’hanno ribadito al Family Day, che ha visto riunite a Roma un milione di famiglie. Nei fatti, però, non ci sono impegni concreti, atti amministrativi e leggi che migliorino le condizioni di vita delle famiglie più fragili e con più figli. Anzi, il fisco continua a essere poco equo, perché ignora la composizione del nucleo familiare. A parità di reddito, un single e una famiglia numerosa pagano le stesse tasse. E questo non è giusto. Occorre una «politica orientata ai figli», con reti di protezione e sostegno, che non costringano le donne a dover, drammaticamente, scegliere tra la maternità e il lavoro. (...)

Tutti parlano «della» famiglia e «sulla » famiglia, forse è tempo di dare la parola «alla» famiglia. E di non abusare più della sua pazienza, scaricandole addosso i pesi del nostro malessere sociale.

Nessuno può sostituirsi a essa come interlocutore al tavolo della politica, quando si trattano problemi che la riguardano. Il Forum delle Associazioni familiari (che rappresenta più di cinquanta enti e organismi, di cui Francesco Belletti è presidente) deve far sentire, ancor di più, la propria voce a difesa e a sostegno della famiglia. (...)
È tempo, allora, di «rimboccarci le maniche», come invita a fare Francesco Belletti. E di schierarci non tra i «profeti della morte», ma tra i «difensori» della famiglia. Con intelligenza, caparbietà e ottimismo. Nonostante tutto. Occorre davvero «ripartire dalla famiglia», come dice il titolo di questo bel libro. E metterla al centro dell’attenzione e del dibattito del paese. Solo così potremo guardare con più speranza e fiducia al futuro.

http://www.europaquotidiano.it/dettaglio/121325/capitale_familiare

*L'autore è il direttore di “Famiglia Cristiana” Antonio Sciortino

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