sabato 17 luglio 2010

Confesercenti: una famiglia su cinque coinvolta nella perdita del posto


Confesercenti: una famiglia su cinque coinvolta nella perdita del posto
Una famiglia su cinque (18%), è stata coinvolta nella perdita del posto di lavoro, percentuale che sale al 23% se si prende in considerazione anche la cassa integrazione, già subita o in arrivo. «Un impatto sociale enorme», quello della crisi, sulle famiglie italiane, rileva l’Ispo, che ha curato per Confesercenti il terzo Report sul termometro della crisi. Nonostante i molti segnali che giungono da economisti e dai dati macro relativi a un’Italia verso l’uscita dal guado, «la percezione della gente è ben diversa e il 93% degli italiani si dice preoccupato per la situazione economica italiana – evidenzia il presidente della Confesercenti Marco Venturi -: la gente vive le difficoltà vere, continua a faticare ma non vede il traguardo, quindi la sfiducia è inevitabile». E, quando si tratta di mercato del lavoro, la preoccupazione sale al 94%; oltre la metà degli italiani (51%) non vede la luce in fondo al tunnel ed è convinta che tra un anno le cose non andranno meglio: è in calo infatti il trend di chi sperava in una ripresa, più corposo a settembre 2009 rispetto ad oggi. Il 59% è inoltre molto preoccupato per il proprio posto di lavoro e tale quota è in forte crescita (+10%) rispetto a ottobre 2009, data del primo report. Non a caso la principale richiesta al governo riguarda interventi in campo lavorativo e a essere molto preoccupati sono manager, liberi professionisti e impiegati. Un peggioramento generale che «preoccupa fortemente» il presidente della Confesercenti: «ci fa temere un’ulteriore contrazione dei consumi e un effetto sulla stagione turistica già in corso», dice Venturi. Se consumi e redditi delle famiglie continuano ad accumulare segni meno, peggiorerà a fine anno anche il saldo tra aperture e chiusure dei negozi, è il timore della Confersercenti
http://www.ultimenotizie.tv/notizie-economiche/confesercenti-una-famiglia-su-cinque-coinvolta-nella-perdita-del-posto.html

lunedì 12 luglio 2010

In rosso i redditi delle famiglie


In rosso i redditi delle famiglie
I dati sono pesanti e confermano una economia reale, quella delle famiglie, in perenne e sempre più pericoloso stallo. Ieri ci ha pensato anche Istat che, mentre il ministro Brunetta parlava di redditi di lavoratori e pensionati in crescita, forniva un quadro del tutto opposto.
Infatti Istat ha spiegato che nel primo trimestre 2010 il potere di acquisto delle famiglie (il reddito disponibile delle famiglie in termini reali) è diminuito dello 0,5 per cento rispetto al trimestre precedente e del 2,6 per cento rispetto a quello corrispondente.
Un quadro ancora più fosco viene visto dalla Federconsumatori, secondo cui dati maggiormente realistici sono quelli dell'Osservatorio Nazionale dell'associazione, "che registrano una contrazione della capacità di acquisto del 3,5%, con un'ovvia ricaduta negativa sui consumi la cui diminuzione è di 20 miliardi di Euro, e produrrà sia minor benessere per le famiglie, sia grave danno per la produzione industriale".
Non solo, dicono alla Federconsumatori, le famiglie sono le uniche a pagare la crisi, ma sono anche colpite dalla nuova manovra finanziaria. "Ad aggravare ancora di più questa situazione contribuirà, inoltre, come calcolato dall'Osservatorio Nazionale Federconsumatori, l'aumento di spesa di 886 Euro annui nel 2010, aggiornato alla luce degli effetti della manovra economica del Governo".


http://miaeconomia.leonardo.it/economia/soldi_e_famiglia/news/in_rosso_i_redditi_delle_famiglie_124708

mercoledì 7 luglio 2010

A quando un fisco più "familiare"?


A quando un fisco più "familiare"?
http://www.gvonline.it/public/articolo.php?id=6005


Le spese veterinarie per il criceto? Povera bestiola: quelle sì si possono detrarre dalle tasse. Ma i costi per l'asilo nido dei figli solo in minima parte (al massimo 632 euro, l'equivalente delle rette di uno o due mesi): evidentemente sanno di lusso per mamme con poca voglia di fare e tanto tempo da perdere. Guardatevi bene, poi, dal tenere il nonno in casa, magari malato di Alzheimer: se prende una pensione potrebbe farvi schizzare all'insù l'Isee e addio agevolazioni di qualsiasi tipo per rette comunali, mense, borse di studio...
Fissatevi nella mente questo concetto: «In Italia, semplicemente, la fiscalità a misura di famiglia non esiste: la famiglia non è un soggetto fiscale». Parola di commercialista, nella fattispecie Silvano Brusadin, pordenonese, da anni per lavoro, per interesse (sposato, 4 figli) e per passione un osservatore di come il fisco tratti le coppie unite in matrimonio con prole. Esiste il singolo contribuente (la “persona fisica”), sono contemplate le società, ma quel particolare tipo di “società” che è la famiglia non solo non è tenuta in alcun conto ma è persino bistrattata, beffata, penalizzata.

Tentativo abortito. E questo nonostante gli slogan politici di questo o quel partito, le promesse elettorali, i proclami vari. La verità, che andremo a dimostrare, è una e una soltanto: «La fiscalità della famiglia non esiste». L'unico tentativo compiuto per creare un fisco a misura di famiglia risale al 1990: sono gli anni del sesto Governo Andreotti, sostenuto dal pentapartito Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli. Una legge delega (la n. 408, all'art. 19: si veda la scheda in alto), la “Andreotti-Formica”, istituiva l'introduzione, entro il 31 dicembre 1992, del quoziente familiare. E' entrata in vigore con un grosso difetto: non è mai stata corredata dei decreti di attuazione. Come la carrozzeria di un'automobile cui non sia mai stato installato il motore: non può camminare. E infatti...
E infatti la famiglia non rientra, a tutt'oggi, tra i soggetti che hanno diritto di dichiarare solo in parte i propri redditi, o che possono godere di imposte sostitutive più vantaggiose (si veda, in basso, la scheda su reddito e tassazione). Molto meglio se la passano le società o i lavoratori autonomi, indipendentemente dal fatto di avere moglie e figli.
Disparità. Che la famiglia proprio non esista agli occhi del fisco risulta evidente quando bisogna fare i conti con il principio della progressività delle imposte (si veda, sempre in basso, la scheda su deduzioni, detrazioni e aliquote). Fa molta differenza se a casa arrivano – si tratta di un reddito elevatissimo, ma è utile per capire il concetto – 100 mila euro da un unico reddito o se i redditi sono due, da 50 mila euro ciascuno. Nel primo caso l'imposta lorda è di 36.170 euro, nel secondo di 30.640: 5.530 euro in meno. Per il fisco non esiste una famiglia, esistono solo due lavoratori. E ad essere avvantaggiate sono le famiglie con due coniugi che lavorano, non quelle in cui uno lavora (con un reddito più elevato) e uno no. Dunque, fiscalmente parlando, le casalinghe sono un peso.
Separazioni fittizie. Se si prendono in considerazione le possibili deduzioni, «quasi nessuna – nota Brusadin – agevola la famiglia». Vengono in generale utilizzate per oneri di maggior rilevanza sociale, quali: contributi obbligatori per legge, versamenti volontari a forme pensionistiche complementari, esenzione dalla tassazione della casa d'abitazione... Una riguarda le somme corrisposte al coniuge separato in forza sentenza: l'assegno di mantenimento è un buon modo per pagare meno tasse. «Ci sono commercialisti - racconta Brusadin - che sanno che, per ridurre le imposte, c'è chi fa risultare fittiziamente di essere separato dal coniuge. Anche perché non c'è un limite alle somme che si possono dedurre per questa via. Quello che fa riflettere è che non esistono invece casi di matrimoni simulati per ottenere benefici fiscali...». Non è invece possibile dedurre assegni corrisposti al coniuge che non lavora; né è possibile dedurre dal proprio reddito la retribuzione del coniuge quando questo risulti proprio dipendente. Solo separarsi conviene.
Detrazioni amare. Veniamo alle detrazioni, che agiscono riducendo le imposte da versare. Hanno il limite della “capienza d'imposta”: non può godere di detrazioni il contribuente che non deve pagare tasse. Tanto che c'è il caso di chi, con una famiglia numerosa e un reddito ridotto, non può detrarre le (consistenti) spese mediche effettuate in famiglia, perché non c'è niente da detrarre: né quei soldi gli ritornano in tasca in altro modo.
In termini di detrazioni, un coniuge a carico vale dai 690 agli 800 euro a seconda del reddito (come se il suo mantenimento costasse solo dai 2 o 3 mila euro all'anno), più o meno come ogni figlio. Se si scorre la lista delle altre possibili detrazioni d'imposta, si resta stupiti per le carenze e le dimenticanze riguardanti spese proprie del nucleo familiare. Mentre esistono detrazioni per le spese veterinarie (i criceti di cui parlavamo all'inizio), non ne esistono per l'acquisto dei testi scolastici, di strumenti musicali di giovani iscritti al conservatorio, o per la retta (figurarsi!) di scuole paritarie. Neanche l'acquisto di voucher con cui pagare lavori occasionali (colf, baby sitter...) è premiato in qualche modo dal fisco, se non per aiutare le famiglie, almeno per favorire l'emersione di lavoro nero. Le badanti per i genitori anziani e malati? Sono detraibili i contributi, non le cifre corrisposte per la loro retribuzione.

Famiglia, soggetto fiscale. Eppure dei modi ci sarebbero per tassare in modo più equo le famiglie italiane, in base al loro reddito complessivo. Le strade potrebbero essere due: lo splitting e il quoziente familiare. Lo splitting (utilizzato ad esempio negli Usa e in Germania) consiste nel suddividere il reddito totale per il numero dei componenti del nucleo familiare. Il quoziente familiare (proprio della tradizione francese) è uno strumenti di calcolo più fino che “pesa” la capacità dei singoli componenti della famiglia di produrre e di “sottrarre” reddito. Lo splitting in Italia è già in vigore: non per le famiglie, naturalmente, ma per le società, visto che il reddito prodotto si suddivide tra i soci. «Se funziona per le società perché non dovrebbe funzionare per la “società” famiglia?», si chiede Brusadin.
Copiare dalle imprese. Un modo semplice per incentivare la formazione di nuove famiglie ci sarebbe. Basterebbe, suggerisce il commercialista, copiare certe norme previste per il mondo imprenditoriale e trasferirle tali e quali al mondo “familiare”. L'art. 13 della legge 388/2000 prevede ad esempio una tassazione sostitutiva pari al 10% del reddito prodotto nei primi tre anni di attività per le nuove iniziative imprenditoriali. Praticamente un assegno in bianco, se si tiene conto che la prima aliquota è pari al 23% e il 10% è meno della metà. Bene, perché allora non prevedere una tassazione agevolata per le famiglie di nuova costituzione?
L'art. 1 della legge 244/2007 fissa al 20% del reddito prodotto la tassazione sostitutiva, a regime, per i redditi di impresa o di lavoro autonomo minore (fino cioè a 30 mila euro di ricavi). Basterebbe prevedere una tassazione agevolata a regime anche per i nuclei familiari: il 20% fino a 30 mila euro, poi si procede con il crescere delle aliquote. Le norme sul consolidato fiscale (che prevede si mettano insieme i redditi delle società di uno stesso gruppo, compensando eventuali perdite e ricavi: art. 117 e ss. Tuir) e sulla trasparenza fiscale (art. 115 e ss. Tuir) potrebbero tradursi in un “consolidato familiare” e relativa trasparenza, tramite splitting o quoziente; e nella possibilità di una compensazione tra le imposte dovute dai singoli coniugi, oggi permessa solo in sede di presentazione del modello 730, ma non del modello Unico. E a fronte del divieto di deduzione della retribuzione corrisposta al coniuge, si potrebbe all'opposto prevedere una retribuzione figurativa del coniuge casalingo.
I costi di una simile riforma. Il costo di simili riforme? Potrebbero raggiungere, per il commercialista, i 12 miliardi di euro di mancate entrate all'anno per il fisco. Tantissimi. Troppi? La cifra è notevole, ma si può ovviare in due modi: mettendo in atto solo alcune delle misure proposte; o recuperando gettito da altri settori. Magari da quei santuari dell'intoccabilità che sono i redditi da capitali, le transazioni finanziarie e le tante forme di fiscalità agevolata di un sistema che tutti vuol premiare al di fuori di un papà, una mamma e i loro figli.
Paolo Fusco
Tratto da GENTE VENETA, n.25/2010

Urge l'emersione del "capitale" familiare
http://www.gvonline.it


La parola più adatta potrebbe essere “incentivo”. Oppure, più di moda, “emersione”. Funziona con le auto e gli elettrodomestici, con i capitali, con il lavoro nero... perché la leva fiscale non dovrebbe mostrare i suoi benefici effetti anche nei riguardi dei matrimoni?
Il principio è semplice: per rendere più appetibile una scelta piuttosto che un'altra si deve favorire il cittadino contribuente in qualche modo. In cambio lo Stato ottiene un beneficio di riflesso: mette in moto l'economia – e quindi la produzione del reddito, che si traduce in nuove entrate fiscali – o può tornare a mettere le mani su redditi e capitali che in precedenza gli venivano occultati.
C'è un bene, o si potrebbe anche dire un capitale, che nella società italiana merita di essere portato alla luce e fatto prosperare. E' la stabilità che solo una famiglia fondata sul matrimonio può garantire. E' il massimo della sussidiarietà orizzontale, è il presupposto per offrire ai figli una crescita serena ed equilibrata, potenzia le forze e le energie del singolo a vantaggio del resto della società e dell'economia. Se per una qualche ragione questo bene viene smarrito, a vantaggio di forme di convivenza meno solide, meno proiettate al futuro, si ha una perdita – anche in termini economici – per l'intera società italiana.
E' per questo che il matrimonio va incentivato. Anche fiscalmente, come avviene in altre nazioni. Un sistema impositivo che non aiuta la famiglia favorisce il permanere in tutte quelle forme di convivenza che famiglia non sono. Abbiamo visto in queste pagine che a un uomo e una donna conviene di più unire i propri destini finanziariamente e societariamente che contraendo un vincolo duraturo.
Al di là dei proclami, degli slogan ricorrenti ma mai trasformati in provvedimenti concreti, urge una riforma seria del sistema fiscale per dare fiato alla famiglia, prima impresa produttrice di beni materiali e immateriali di questa società.

Attenti all'Isee: non sempre fa giustizia


Attenti all'Isee: non sempre fa giustizia
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L’Isee (Indicatore di Situazione economica equivalente) strumento di giustizia? Da un'analisi attenta può risultare piuttosto un calcolo penalizzante in certe situazioni familiari: le più diffuse. Vediamo perché.
Ai fini del calcolo dell'Isee, vanno conteggiati entrambi i coniugi, anche se hanno residenze diverse, insieme ai figli e ad altri familiari conviventi. Lo stesso non avviene nel caso in cui mamma e papà siano solo conviventi e abbiano mantenuto le residenze originarie. Anzi, risulta un nucleo composto da ragazza madre e figlio/i, con tutti i benefici del caso. L'«emersione» della famiglia, attraverso il matrimonio, non paga affatto.
Bisogna guardarsi bene, poi, dall'accudire in casa un genitore anziano, se beneficiario di pensione. Perché in questo caso il suo reddito viene sommato agli altri redditi familiari, ai fini della determinazione dell'Isee. «Avere i nonni a casa», chiosa Silvano Brusadin, «è un peso e non, come viene inteso socialmente, un premio». Pesa anche, perché innalza l'Isee, la casa d'abitazione (esclusa tuttavia dalla tassazione in sede Irpef). Per non dire di altre incongruenze, come i rendimenti derivanti dal patrimonio mobiliare: quest'anno avrebbero dovuto fruttare un guadagno del 4,32%. In quale banca, con quale Bot, con quale fondo? L'Isee, in pratica, considerando queste voci premia chi non risparmia.
La proposta che avanza il commercialista pordenonese è semplice: rovesciare il sistema di calcolo dell'Isee e non partire dai genitori con il loro reddito, ma dai figli: genitori sposati, conviventi e separati finirebbero almeno sullo stesso piano.

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