mercoledì 7 luglio 2010


Urge l'emersione del "capitale" familiare
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La parola più adatta potrebbe essere “incentivo”. Oppure, più di moda, “emersione”. Funziona con le auto e gli elettrodomestici, con i capitali, con il lavoro nero... perché la leva fiscale non dovrebbe mostrare i suoi benefici effetti anche nei riguardi dei matrimoni?
Il principio è semplice: per rendere più appetibile una scelta piuttosto che un'altra si deve favorire il cittadino contribuente in qualche modo. In cambio lo Stato ottiene un beneficio di riflesso: mette in moto l'economia – e quindi la produzione del reddito, che si traduce in nuove entrate fiscali – o può tornare a mettere le mani su redditi e capitali che in precedenza gli venivano occultati.
C'è un bene, o si potrebbe anche dire un capitale, che nella società italiana merita di essere portato alla luce e fatto prosperare. E' la stabilità che solo una famiglia fondata sul matrimonio può garantire. E' il massimo della sussidiarietà orizzontale, è il presupposto per offrire ai figli una crescita serena ed equilibrata, potenzia le forze e le energie del singolo a vantaggio del resto della società e dell'economia. Se per una qualche ragione questo bene viene smarrito, a vantaggio di forme di convivenza meno solide, meno proiettate al futuro, si ha una perdita – anche in termini economici – per l'intera società italiana.
E' per questo che il matrimonio va incentivato. Anche fiscalmente, come avviene in altre nazioni. Un sistema impositivo che non aiuta la famiglia favorisce il permanere in tutte quelle forme di convivenza che famiglia non sono. Abbiamo visto in queste pagine che a un uomo e una donna conviene di più unire i propri destini finanziariamente e societariamente che contraendo un vincolo duraturo.
Al di là dei proclami, degli slogan ricorrenti ma mai trasformati in provvedimenti concreti, urge una riforma seria del sistema fiscale per dare fiato alla famiglia, prima impresa produttrice di beni materiali e immateriali di questa società.

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