mercoledì 7 luglio 2010

A quando un fisco più "familiare"?


A quando un fisco più "familiare"?
http://www.gvonline.it/public/articolo.php?id=6005


Le spese veterinarie per il criceto? Povera bestiola: quelle sì si possono detrarre dalle tasse. Ma i costi per l'asilo nido dei figli solo in minima parte (al massimo 632 euro, l'equivalente delle rette di uno o due mesi): evidentemente sanno di lusso per mamme con poca voglia di fare e tanto tempo da perdere. Guardatevi bene, poi, dal tenere il nonno in casa, magari malato di Alzheimer: se prende una pensione potrebbe farvi schizzare all'insù l'Isee e addio agevolazioni di qualsiasi tipo per rette comunali, mense, borse di studio...
Fissatevi nella mente questo concetto: «In Italia, semplicemente, la fiscalità a misura di famiglia non esiste: la famiglia non è un soggetto fiscale». Parola di commercialista, nella fattispecie Silvano Brusadin, pordenonese, da anni per lavoro, per interesse (sposato, 4 figli) e per passione un osservatore di come il fisco tratti le coppie unite in matrimonio con prole. Esiste il singolo contribuente (la “persona fisica”), sono contemplate le società, ma quel particolare tipo di “società” che è la famiglia non solo non è tenuta in alcun conto ma è persino bistrattata, beffata, penalizzata.

Tentativo abortito. E questo nonostante gli slogan politici di questo o quel partito, le promesse elettorali, i proclami vari. La verità, che andremo a dimostrare, è una e una soltanto: «La fiscalità della famiglia non esiste». L'unico tentativo compiuto per creare un fisco a misura di famiglia risale al 1990: sono gli anni del sesto Governo Andreotti, sostenuto dal pentapartito Dc-Psi-Psdi-Pri-Pli. Una legge delega (la n. 408, all'art. 19: si veda la scheda in alto), la “Andreotti-Formica”, istituiva l'introduzione, entro il 31 dicembre 1992, del quoziente familiare. E' entrata in vigore con un grosso difetto: non è mai stata corredata dei decreti di attuazione. Come la carrozzeria di un'automobile cui non sia mai stato installato il motore: non può camminare. E infatti...
E infatti la famiglia non rientra, a tutt'oggi, tra i soggetti che hanno diritto di dichiarare solo in parte i propri redditi, o che possono godere di imposte sostitutive più vantaggiose (si veda, in basso, la scheda su reddito e tassazione). Molto meglio se la passano le società o i lavoratori autonomi, indipendentemente dal fatto di avere moglie e figli.
Disparità. Che la famiglia proprio non esista agli occhi del fisco risulta evidente quando bisogna fare i conti con il principio della progressività delle imposte (si veda, sempre in basso, la scheda su deduzioni, detrazioni e aliquote). Fa molta differenza se a casa arrivano – si tratta di un reddito elevatissimo, ma è utile per capire il concetto – 100 mila euro da un unico reddito o se i redditi sono due, da 50 mila euro ciascuno. Nel primo caso l'imposta lorda è di 36.170 euro, nel secondo di 30.640: 5.530 euro in meno. Per il fisco non esiste una famiglia, esistono solo due lavoratori. E ad essere avvantaggiate sono le famiglie con due coniugi che lavorano, non quelle in cui uno lavora (con un reddito più elevato) e uno no. Dunque, fiscalmente parlando, le casalinghe sono un peso.
Separazioni fittizie. Se si prendono in considerazione le possibili deduzioni, «quasi nessuna – nota Brusadin – agevola la famiglia». Vengono in generale utilizzate per oneri di maggior rilevanza sociale, quali: contributi obbligatori per legge, versamenti volontari a forme pensionistiche complementari, esenzione dalla tassazione della casa d'abitazione... Una riguarda le somme corrisposte al coniuge separato in forza sentenza: l'assegno di mantenimento è un buon modo per pagare meno tasse. «Ci sono commercialisti - racconta Brusadin - che sanno che, per ridurre le imposte, c'è chi fa risultare fittiziamente di essere separato dal coniuge. Anche perché non c'è un limite alle somme che si possono dedurre per questa via. Quello che fa riflettere è che non esistono invece casi di matrimoni simulati per ottenere benefici fiscali...». Non è invece possibile dedurre assegni corrisposti al coniuge che non lavora; né è possibile dedurre dal proprio reddito la retribuzione del coniuge quando questo risulti proprio dipendente. Solo separarsi conviene.
Detrazioni amare. Veniamo alle detrazioni, che agiscono riducendo le imposte da versare. Hanno il limite della “capienza d'imposta”: non può godere di detrazioni il contribuente che non deve pagare tasse. Tanto che c'è il caso di chi, con una famiglia numerosa e un reddito ridotto, non può detrarre le (consistenti) spese mediche effettuate in famiglia, perché non c'è niente da detrarre: né quei soldi gli ritornano in tasca in altro modo.
In termini di detrazioni, un coniuge a carico vale dai 690 agli 800 euro a seconda del reddito (come se il suo mantenimento costasse solo dai 2 o 3 mila euro all'anno), più o meno come ogni figlio. Se si scorre la lista delle altre possibili detrazioni d'imposta, si resta stupiti per le carenze e le dimenticanze riguardanti spese proprie del nucleo familiare. Mentre esistono detrazioni per le spese veterinarie (i criceti di cui parlavamo all'inizio), non ne esistono per l'acquisto dei testi scolastici, di strumenti musicali di giovani iscritti al conservatorio, o per la retta (figurarsi!) di scuole paritarie. Neanche l'acquisto di voucher con cui pagare lavori occasionali (colf, baby sitter...) è premiato in qualche modo dal fisco, se non per aiutare le famiglie, almeno per favorire l'emersione di lavoro nero. Le badanti per i genitori anziani e malati? Sono detraibili i contributi, non le cifre corrisposte per la loro retribuzione.

Famiglia, soggetto fiscale. Eppure dei modi ci sarebbero per tassare in modo più equo le famiglie italiane, in base al loro reddito complessivo. Le strade potrebbero essere due: lo splitting e il quoziente familiare. Lo splitting (utilizzato ad esempio negli Usa e in Germania) consiste nel suddividere il reddito totale per il numero dei componenti del nucleo familiare. Il quoziente familiare (proprio della tradizione francese) è uno strumenti di calcolo più fino che “pesa” la capacità dei singoli componenti della famiglia di produrre e di “sottrarre” reddito. Lo splitting in Italia è già in vigore: non per le famiglie, naturalmente, ma per le società, visto che il reddito prodotto si suddivide tra i soci. «Se funziona per le società perché non dovrebbe funzionare per la “società” famiglia?», si chiede Brusadin.
Copiare dalle imprese. Un modo semplice per incentivare la formazione di nuove famiglie ci sarebbe. Basterebbe, suggerisce il commercialista, copiare certe norme previste per il mondo imprenditoriale e trasferirle tali e quali al mondo “familiare”. L'art. 13 della legge 388/2000 prevede ad esempio una tassazione sostitutiva pari al 10% del reddito prodotto nei primi tre anni di attività per le nuove iniziative imprenditoriali. Praticamente un assegno in bianco, se si tiene conto che la prima aliquota è pari al 23% e il 10% è meno della metà. Bene, perché allora non prevedere una tassazione agevolata per le famiglie di nuova costituzione?
L'art. 1 della legge 244/2007 fissa al 20% del reddito prodotto la tassazione sostitutiva, a regime, per i redditi di impresa o di lavoro autonomo minore (fino cioè a 30 mila euro di ricavi). Basterebbe prevedere una tassazione agevolata a regime anche per i nuclei familiari: il 20% fino a 30 mila euro, poi si procede con il crescere delle aliquote. Le norme sul consolidato fiscale (che prevede si mettano insieme i redditi delle società di uno stesso gruppo, compensando eventuali perdite e ricavi: art. 117 e ss. Tuir) e sulla trasparenza fiscale (art. 115 e ss. Tuir) potrebbero tradursi in un “consolidato familiare” e relativa trasparenza, tramite splitting o quoziente; e nella possibilità di una compensazione tra le imposte dovute dai singoli coniugi, oggi permessa solo in sede di presentazione del modello 730, ma non del modello Unico. E a fronte del divieto di deduzione della retribuzione corrisposta al coniuge, si potrebbe all'opposto prevedere una retribuzione figurativa del coniuge casalingo.
I costi di una simile riforma. Il costo di simili riforme? Potrebbero raggiungere, per il commercialista, i 12 miliardi di euro di mancate entrate all'anno per il fisco. Tantissimi. Troppi? La cifra è notevole, ma si può ovviare in due modi: mettendo in atto solo alcune delle misure proposte; o recuperando gettito da altri settori. Magari da quei santuari dell'intoccabilità che sono i redditi da capitali, le transazioni finanziarie e le tante forme di fiscalità agevolata di un sistema che tutti vuol premiare al di fuori di un papà, una mamma e i loro figli.
Paolo Fusco
Tratto da GENTE VENETA, n.25/2010

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