venerdì 30 aprile 2010

FAMIGLIA: IL 2009 ANNO NERO. POCHI NUCLEI SALVI DA CRISI


FAMIGLIA: IL 2009 ANNO NERO. POCHI NUCLEI SALVI DA CRISI

Il 2009 e' stato l'anno ''nero'' per le famiglie italiane, con la crisi economica che ha 'morso' praticamente tutte le tipologie. E' quanto mette in luce uno studio realizzato dall'Iref (l'ente di ricerca delle Acli) in collaborazione con la Caritas italiana.Secondo l'indagine, condotta nel corso del 2009 e nella prima parte del 2010 attraverso interviste telefoniche ad un campione di famiglie (1.500) rappresentative della popolazione italiana, infatti, solo il 2,2% delle famiglie contattate ritiene, infatti, di aver migliorato la propria condizione economica.La crisi economica, in sostanza, avrebbe prevalentemente condizionato i consumi delle famiglie. Comparando i dati raccolti durante le interviste di settembre del 2009 con quelli di febbraio 2010, rimane elevata ma stabile la quota di famiglie che nei quattro mesi precedenti all'intervista hanno acquistato prodotti a basso costo (rispettivamente 67,8% e 66,1%). Sale invece di oltre dieci punti la percentuale di intervistati che afferma di aver risparmiato sulla cura della propria persona (dal 33% del settembre 2009, al 44,5% rilevato a febbraio 2010); allo stesso modo si nota un incremento della percentuale di famiglie che hanno risparmiato su acqua, luce e gas (32,1% nel 2010): +11,5% rispetto al periodo precedente.Sempre a febbraio 2010, piu' di una famiglia su tre (34,8%) ha risparmiato sull'acquisto di generi alimentari di base (pane, pasta e carne). Tra le famiglie economicamente solide, quelle che hanno un alloggio di proprieta' e dei risparmi accantonati, la percentuale di nuclei che hanno ridimensionato la spesa sui generi di prima necessita' e' appena del 19,8%; in assenza di una casa di proprieta' e di risparmi, la percentuale di famiglie fragili che risparmiano sul mangiare sale al 68,4%. Il ruolo dei costi fissi nella definizione dei comportamenti di consumo e' dunque molto forte: se si deve far fronte ad un impegno di spesa periodico, come quello di un affitto o di un mutuo, occorre risparmiare un po' su tutto, anche su pane, pasta e carne.Ad alimentare il sentimento d'incertezza che serpeggia tra le famiglie italiane e' il rischio di perdere il posto di lavoro: il 67,8% degli intervistati ha dichiarato di essere molto o abbastanza preoccupato dall'idea che nel corso del 2010 un proprio familiare possa perdere il lavoro. Sono i nuclei familiari in cui sono presenti dei figli (coppie e famiglie mono-genitoriali) ad essere piu' insicuri da un punto di vista occupazionale.Il 2009 e' stato anche l'anno nel quale sono state varate diverse novita' nel campo del contrasto alla poverta' e al disagio socio-economico delle famiglie: tre famiglie su quattro conoscono la carta acquisti; mentre sette su dieci sanno dell'esistenza di un bonus famiglie; la percentuale scende al 59,9% per quel che riguarda il bonus elettrico e al 52,9% per l'assegno terzo figlio.

welfare. La Spagna pensa alla pensione "formato famiglia"


welfare. La Spagna pensa alla pensione "formato famiglia"

La proposta delle famiglie numerose spagnole
La federazione spagnola delle famiglie numerose ha elaborato una proposta per un sistema pensionistico che premia chi ha scelto di aprirsi alla vita e riconosce il valore del carico familiare come valore per tutta la società, che cioè nel calcolo della cifra della pensione tenga conto anche del "contributo demografico": tre anni di contributi figurativi per ogni figlio.
Accanto a questo la proposta mira a una riforma complessiva delle tutele legate alla maternità: in Spagna infatti l'astensione retribuita dal lavoro, in caso di maternità, è di sole 16 settimane.

Il Fisco in riva alla Senna


Il Fisco in riva alla Senna

Le famiglie italiane sopportano uno dei più elevati carichi fiscali d’Europa. Lo attesta uno studio della Cgia di Mestre, in cui si sottolinea come le cose - rispetto a quanto avviene nelnostro Paese in questo campo - vadano ben diversamente in Francia (dove siapplica il quoziente familiare).
Occhio puntato sulla famiglia tipo
La ricerca dell’Assocazione degli artigiani e della Piccola impresa, infatti, si è concentrata in maniera particolare in un raffronto tra la situazione fiscale di una famiglia italiana e di una francese (composte entrambe da marito, moglie e 2 figli a carico). Nello svolgimento della propria indagine, la Cgia ha considerato solo la tassazione dell’imposta personale, senza tenere in conte le addizionali Irpef.

Quant’è diverso il carico fiscale
Stando ai risultati, con un reddito pari a 30000 euro, il carico fiscale che una famiglia (non importa se monoreddito o bireddito) deve sopportare in Francia è di 348 euro. All’interno del nostro Paese, con un reddito equivalente, il carico fiscale sale a 5010 euro se si tratta di un nucleo familiare monoreddito e a 2842 euro, nel caso la famiglia sia bireddito.
Diversità crescentiUgualmente sconsolante, per le tasche degli italiani, rimane il confronto al crescere del reddito. Quando questo raggiunge i 55000 euro, infatti, la famiglia francese è sottoposta a una tassazione di 2988 euro, mentre, come rileva la Cgia di Mestre, la famiglia italiana versa all’erario 15989 euro (se monoreddito) e 10530 euro (se bireddito). Ancora più marcate risultano le differenze in caso di un reddito di 150.000 euro: oltreconfine si pagano 25324 euro di tasse, mentre, sul suolo italiano, sulla famiglia grava un peso di 57670 euro (se monoreddito) e di 50331 euro (se bireddito).

mercoledì 21 aprile 2010

Italia 2020, rivoluzione in famiglia


Italia 2020, rivoluzione in famiglia"Un figlio su due fuori dalle nozze"

Già oggi oltre il 20% dei bambini ha genitori non sposati. E in dieci anni il fenomeno raddoppierà. "Più evidente al Nord, ma non sarà la fine del matrimonio", spiega il demografo Alessandro Rosina

ROMA - Nasceranno fuori dal matrimonio ma saranno amatissimi lo stesso. Un bambino su due, nei prossimi dieci anni, sarà concepito da genitori non sposati. L'Italia di domani sarà così, la nuova radicale trasformazione della famiglia è già in atto ma corre più veloce del previsto, e rischia di far saltare tradizioni consolidate e ordinamenti giuridici.Già oggi nel nostro paese il numero dei "figli naturali", così definiti in modo arcaico per differenziarli dai "figli legittimi" venuti al mondo all'interno del matrimonio, supera il 20% di tutte le nascite. Con una fortissima accelerazione negli ultimi anni, basti pensare che nel 2000, secondo le tabelle dell'Istat, i bimbi di coppie non sposate erano poco più di 50mila, e nel 2007 circa 117mila. Una velocità di cambiamento che porterà, secondo una proiezione statistica realizzata da Alessandro Rosina, docente di Demografia all'università Cattolica di Milano, ad uno scenario per cui nel 2020 in Italia una nascita su due avverrà fuori dal matrimonio. Un dato lontano dalle previsioni inglesi, dove l'Ons, Office for National Statistics, calcola che nel 2014 addirittura il 75% dei neonati vedrà la luce fuori dal matrimonio, ma che per il nostro paese è davvero sintomo di un cambiamento profondo. "Sono il primo ad essere rimasto sorpreso quando ho calcolato l'attuale curva di crescita delle nascite extranuziali e l'ho proiettata nei prossimi dieci anni - spiega Alessandro Rosina - ma il dato che emerge è che nel 2020 oltre il 50% dei bimbi avrà genitori non sposati. Il cambiamento sarà all'inizio più evidente nelle regioni del Nord, ma entro il 2025 sarà totale anche al Sud, dove comunque il matrimonio resiste ancora. E questo porterà ad una radicale trasformazione della famiglia, tenendo conto che è soltanto dalla metà degli anni Novanta che in Italia la nascita di un bimbo fuori dalle nozze è diventato fatto comune e accettato...". Questo però non significa affatto la fine del matrimonio come istituzione. Perché, aggiunge Rosina, quello che sta succedendo è che le coppie scelgono di sposarsi "dopo". Ossia dopo aver convissuto, e soprattutto dopo aver messo al mondo un figlio. "Le nozze non sono più le fondamenta di una famiglia, ma sono in un certo senso il tetto. Arrivano cioè quando la coppia si sente salda, da fidanzati ci si trasforma in genitori e si sente il bisogno di dare stabilità alla propria unione e ai propri eredi. Allora, ma soltanto allora, si regolarizza l'unione".
Al di là infatti dei mutamenti culturali, la realtà è assai più complessa. A cominciare dal lessico, che ancora divide i bambini tra figli legittimi e figli naturali, come avverte Paola Di Nicola, docente di Sociologia della Famiglia all'università di Verona. "Se questi sono i numeri - dice Paola Di Nicola - ed è probabile a giudicare dalle nascite in coppie di fatto, è evidente che si dovranno trovare delle forme di tutela per famiglie di questo tipo. Dove i rischi, ci tengo a dirlo, non sono tanto dei bambini, quasi del tutto equiparati ai figli legittimi, ma del coniuge spesso più debole, ossia la donna. Che non è affatto tutelata in una convivenza, non ha alcun diritto sull'eredità del compagno, sulla pensione o altro. Non credo però che abbia senso equiparare sul fronte dei diritti una coppia di fatto ad un matrimonio: allora è come se fossero tutti sposati. Dal mio punto di vista credo che si enfatizzi il rifiuto del matrimonio: se infatti anche la famiglia di fatto cerca oggi una tutela giuridica perché rifiutare il matrimonio, che nella sua forma civile è, di fatto, un contratto?".Un contratto denso di simboli però. E di certo qualcosa dovrà cambiare. Perché sul fronte bimbi ad esempio, non tutto è compiuto. I figli naturali quando nascono hanno vincoli di parentela soltanto con i propri genitori e i nonni. Non acquisiscono invece zii e cugini. E se la mamma e il papà si separano di loro non si occupano i tribunali ordinari, ma il tribunale per i minori. Insomma non è così "uguale" per la legge nascere legittimi o naturali.
di MARIA NOVELLA DE LUCA

lunedì 19 aprile 2010

Tariffe, stangata per le famiglie


Tariffe, stangata per le famiglieIn 5 anni +15%, nel 2009 +3,9%

MILANO - Stangata per le famiglie italiane a causa delle tariffe cresciute nel 2009 del 3,9% rispetto all’anno prima e del 15% negli ultimi 5 anni. Queste le valutazioni che emergono dall’Osservatorio «Prezzi e Mercati» di Indis, Istituto dell’Unioncamere specializzato nella distribuzione. A crescere di più nell’ultimo quinquennio i prezzi amministrati localmente, che in media segnano un aumento cumulato di oltre il 20%. Tra questi si segnalano i rincari del 30% per i rifiuti solidi urbani e dell’acqua potabile. http://www.corriere.it/economia/10_aprile_17/tariffe-stangata-unioncamere_7b683462-4a00-11df-8f1a-00144f02aabe.shtml?fr=box_primopiano

Famiglia: Fare famiglia è generare società


Famiglia: Fare famiglia è generare società
http://www.romasette.it/modules/news/article.php?storyid=5865
Intervista a Belletti, presidente del Cisf. Le riflessioni del sociologo alla vigilia del convegno di pastorale familiare della Cel: «La politica deve dare segno di condivisione del "progetto famiglia"» di Federica Cifelli“Per un sì … da Dio. Fidanzati, conviventi e sposati civilmente: quale preparazione al matrimonio?”. Se ne parla sabato prossimo, a partire dalle 9, nell’Auditorium del santuario mariano del Divino Amore. L’occasione: il terzo convegno regionale di pastorale familiare organizzato dalla Commissione famiglia della Conferenza episcopale laziale. Una giornata di approfondimento e dibattito, ma anche di testimonianze e proposte, sugli aspetti socio-culturali e teologico-pastorali del matrimonio, pensata in primo luogo per sacerdoti, educatori, operatori pastorali, insegnanti di religione e per tutti coloro che accompagnano i fidanzati nei percorsi di preparazione al matrimonio. Tra i relatori che interverranno, anche il sociologo Francesco Belletti, dal 2000 alla guida del Centro internazionale di studi sulla famiglia (Cisf) e presidente del Forum delle associazioni familiari dallo scorso anno, che anticipa una riflessione sul «fare famiglia» nella società del tutto e subito.Dal fidanzamento, o dalla convivenza, a un progetto di famiglia che prende corpo nel sacramento: dal suo osservatorio privilegiato, quali sono gli ostacoli più grandi da superare, dentro e fuori dalla relazione di coppia?Le scelte di vita stanno sicuramente nelle motivazioni delle persone, ma anche nel contesto sociale che sta loro intorno. Si costruiscono all’interno della famiglia ma influisce senz’altro la consapevolezza che alcuni valori sociali siano più o meno apprezzati. E la nostra società apparentemente filogiovanile, in realtà tiene i giovani in uno stato di marginalità, con poche risorse: diventare adulti è sempre più difficile. È più difficile progettare il proprio futuro, e quindi anche scegliere di fare famiglia. Si potrebbe dire: «Questo non è un Paese per giovani». In più, anche l’orologio biologico spostato sempre più in avanti genera un’adolescenza interminabile: un’incertezza che diventa difficoltà di promessa. In questa condizione, il «per sempre» è difficile. Soprattutto in una società che premia l’individualismo, il successo dell’io, mentre al contrario l’esperienza familiare è della persona che è felice perché ha legami e non per la sua autodeterminazione totale. E la politica a questo tema non è interessata.Cosa ne è allora della relazione di coppia?All’interno della famiglia quello è senz’altro il legame più fragile. La coppia oggi è sempre più tenuta insieme da un equilibrio di affetti e di sentimenti che taglia fuori tutte le altre dimensioni dell’esistenza. E l’innamoramento non diventa amore: non diventa progetto. Anzi, è come se tutta la relazione fosse tradita se il sentimento viene meno. Il fondamento è l’idea dell’uomo a una sola dimensione: il tutto subito. Al contrario, costruire un progetto di vita è un impegno che richiede tutta la persona. È la dinamica dell’esistenza che è così: l’orizzonte del tempo fa parte della prospettiva della vita. La profondità del rapporto si trova nell’approfondimento che se ne fa nel tempo, non certo nella sua fase iniziale.Questo concerne anche la sfera della sessualità?Assolutamente sì. Questa è la più pericolosa vittoria della società consumistica: la relazione sessuale trasformata in consumo. È una dimensione «avvelenata», nella quale si perde il senso, il significato, e forse anche il gusto. Certo, forse anche nella Chiesa c’è stato un lungo periodo in cui si è ritenuto più opportuno non esprimersi su questi temi. Ora non è più possibile tergiversare: va recuperato il senso dell’integrità della persona tra corpo e spirito.In una società, quindi, che non è a misura di famiglia, quali sono a suo giudizio le scelte politiche più urgenti?Le politiche per la famiglia hanno molti aspetti ma il fisco è sicuramente quello più arretrato. L’Italia è un Paese che distribuisce ingiustizie da sanare: chi vive con due stipendi e tre figli è indubbiamente meno ricco di chi vive con gli stessi stipendi senza figli. Va restituita giustizia: per questo la questione delle politiche fiscali è al primo posto. È necessaria poi una logica di sussidiarietà, ad esempio nella corresponsabilità educativa tra famiglia e scuola: i genitori vanno aiutati a essere genitori. Anche nella conciliazione tra famiglia e lavoro c’è bisogno di maggiore flessibilità. E il confronto con gli altri Paesi europei ci dice che è possibile; in Italia, al contrario, una donna su quattro abbandona il mondo del lavoro dopo il secondo figlio. Occorre capire che fare famiglia significa generare la società. Nessuna coppia deciderà di fare un figlio perché gli si mette in mano un assegno ma piuttosto perché si sentirà supportata a scommettere su un progetto che è già difficile e impegnativo di per sé. La politica deve dare segno di condivisione del «progetto famiglia». È questo ciò che manca alle nuove generazioni. Prima, anche in tempi più duri dei nostri, era tutta la società a scommettere sul futuro: c’era un progetto di sviluppo condiviso, e più coesione. Oggi non è più così.

CONSUMI. Federdistribuzione: dalla crisi la famiglia esce più povera


CONSUMI. Federdistribuzione: dalla crisi la famiglia esce più povera

La ricchezza netta per le famiglie è diminuita del 3,6% nel 2008, il reddito disponibile è calato dell'1,7% nel 2008 e dell'1,4% nel 2009. Soprattutto: il reddito disponibile reale (entrate meno imposte) è diminuito del 2,2% nel 2009 mentre si era già ridotto del 2,4% nel 2008. Sono i dati resi noti oggi da Federdistribuzione, l'associazione che raggruppa la maggioranza della distribuzione moderna organizzata in Italia, che ha elaborato uno studio basato sulla singola famiglia intesa come minima unità di consumo. La spesa per i consumi, aggiunge l'associazione, si è ridimensionata in termini reali del 3,9% nel 2009 e del 2,7% nel 2008.
Risultato? "Negli anni della crisi la consistenza patrimoniale della singola famiglia media si è ridotta e il suo reddito disponibile è diminuito, determinando una brusca frenata dei consumi - afferma
Federdistribuzione - Come se questo non bastasse, il clima di incertezza sul futuro ha ulteriormente bloccato gli investimenti finanziari e i consumi, portando ad aumentare il risparmio e a mantenere le disponibilità economiche in forma monetaria o di prontissima liquidità. La famiglia italiana sta dunque uscendo dalla crisi mediamente più povera, con minore potere d'acquisto e un atteggiamento di grande cautela nei confronti delle spese. E' chiaro quindi che anche i consumi, calati nel 2009 e nel 2008 e responsabili del 60% del PIL, non potranno tornare a crescere finché non si riporterà la famiglia in una situazione economica migliore, mettendola nelle condizioni di ritrovare i precedenti livelli di consumo e recuperare una buona consistenza patrimoniale accompagnata da una rinnovata capacità di risparmio".Per Federdistribuzione, sono necessari interventi quali "un grande progetto di rilancio per il Paese", afferma il presidente Paolo Barberini. Questo sul lungo periodo, ma diventa "indispensabile pensare a interventi che abbiano un orizzonte applicativo più breve, per ridare concretamente potere d'acquisto alle famiglie. In questo senso due strade sembrano percorribili - afferma Barberini - Innanzitutto riportare in primo piano il tema della maggiore concorrenza nei mercati, affrontando quei settori nei quali ancora esistono posizioni dominanti che si traducono in maggiori costi per la collettività: banche, assicurazioni, energia, public utilities, ecc. In seconda battuta favorire la cosiddetta "fiscalità di contrasto", dando l'opportunità alla famiglia di detrarre le spese sostenute per l'acquisto di servizi o prodotti finalizzati alla sua gestione, quali quelli per la manutenzione della casa, per la persona, le spese per gli affitti, per elettrodomestici o attrezzature a maggior risparmio energetico, per i prodotti per l'infanzia, per la scuola e per la salute".

venerdì 9 aprile 2010

Matrimoni dimezzati in 30 anni,


Matrimoni dimezzati in 30 anni, quattro ogni mille abitanti

In Italia ci si sposa sempre meno, tanto che è quasi dimezzato il numero dei matrimoni in circa trent'anni. Nel 1972 erano stati 419 mila(7,7 nozze per mille abitanti), nel 2008 sono scesi a 246.613 (4 ogni mille abitanti). Lo rileva l'Istat che oggi ha diffuso i dati sui matrimoni celebrati nel 2008. La crisi della nuzialità, spiega l'Istituto di statistica, non è un fenomeno nuovo, ma è in atto ormai da 35 anni, salvo una breve ripresa nei primi anni '90 o il picco del 2000. Cambiano i comportamenti familiari: sempre più coppie scelgono di formare una famiglia al di fuori del matrimonio, con il 20% dei bimbi, 100mila in tutto, nati senza che i genitori avessero pronunciato il fatidico sì. Calano soprattutto le prime nozze (passate da 392mila del 1972 a 212.476 del 2008), mentre crescono i secondi matrimoni o successivi (per un totale di 34.137 nel 2008, il 13,8% del numero complessivo. Nel 1972 erano invece il 6,5 per cento). Nei primi matrimoni gli sposi tardi, gli uomini a 33 anni, le spose a 29,9 anni, in media 6 anni in più rispetto agli anni Settanta. Varie le cause, spiega l'Istat: «le difficoltà dei giovani nell'ingresso al mondo del lavoro, la condizione di precarietà dell'occupazione, le difficoltà del mercato delle abitazioni. Condizioni sempre più stringenti per la decisione di formare una famiglia e sempre più considerate vincolanti sia per gli uomini sia per le donne».Si sceglie sempre più la separazione dei beni. Nel 2008 l'incidenza di questa sxalta è pari al 62,7% e supera la quota dei matrimoni in regime di comunione in tutte le ripartizioni, raggiungendo il 65,5% nel Nord-Ovest. I dati Istat onfermano la tendenza all'aumento dei matrimoni in cui uno dei due sposi è straniero (37 mila nel 2008, il 15%), con una quota consistente di matrimoni misti, 24mila, in cui uno degli sposi è di cittadinanza italiana e l'altro straniero.Aumenta il ricorso al solo rito civile: un matrimonio su 3, per un totale di 90.582 sposalizi, è celebrato davanti al sindaco. Rito civile per il 48% dei matrimoni al Nord, per il 44% di quelli nel Centro, per il 20% al Sud. Ci si sposa più al Sud e nelle isole (rispettivamente 4,9 e 4,7 matrimoni per mille abitanti nel 2008), rispetto al Nord (3,6 per mille abitanti) e al Centro (4 per mille). le regioni sono si registra il massimo e il minimo quoziente di nuzialità sono la Campania (5,5 nozze per mille abitanti) e il Friuli Venezia Giulia (3,3 abitanti). Dove è più alta la propensione al matrimonio ci si sposa anche più giovani. Sul fronte delle seconde nozze gli uomini si risposano in media a 48 anni se divorziati, a 61 se vedovi, mentre le donne in seconde nozze hanno in media 43 anni se divorziate, 48 se vedove.

giovedì 8 aprile 2010

E’ la famiglia la fabbrica del bimbo obeso made in Italy


E’ la famiglia la fabbrica del bimbo obeso made in Italy

E’ la famiglia, la brava famiglia italiana, la fabbrica del bimbo obeso. La linea di montaggio della “ciccia del pupo” si accende al mattino: poca colazione e tanta merendina in tasca per l’asilo e la scuola. Prosegue a pranzo, omettendo frutta e verdura. Trionfa al pomeriggio e sera, somministrando televisione. Sono oltre 1 milione e centomila i bambini italiani tra i 6 e gli 11 anni con problemi di obesità e soprappeso. Più di uno bambino su tre.
Tutti i Paesi occidentali registrano una crescita esponenziale del fenomeno dell’obesità e del sovrappeso nell’infanzia. Secondo l’«International Obesity Task Force» i piccoli in età scolare obesi o sovrappeso nel mondo sono 155 milioni, ovvero uno su dieci. Di questi, il 2-3% dei ragazzi in età compresa tra i 5 e i 17 anni è classificato “obeso” (circa 30-45 milioni). Nel vecchio continente il problema è sempre più diffuso: sono 400 mila i casi di bambini in sovrappeso registrati ogni anno; oltre 85 mila gli obesi. La diffusione dell’obesità giovanile nei paesi europei è di 10 volte maggiore rispetto agli anni Settanta.
L’Italia, nonostante sia la patria della dieta mediterranea, è ai primi posti nel mondo per il peso in eccesso dei suoi pargoli: su 100 bambini che frequentano la terza elementare quasi 24 sono in sovrappeso (23,6%) e oltre 12 obesi (12,3%).
L’allarme è ormai diffuso: i bambini di oggi, con gravi colpe dei genitori, sono in generale oversize. Secondo un rapporto stilato da Claudio Maffeis, pediatra dell’università degli studi di Verona, per conto del “Barilla Center for Food & Nutrition” la causa principale è da rintracciare nella «grande diffusione fra i più piccoli di abitudini alimentari che non favoriscono una crescita armonica». L’11% dei bambini, infatti, rinuncia alla colazione e il 28% la fa ma in maniera non adeguata. Altissimo, poi, il numero di chi spezza la mattinata con una merendina troppo abbondante (100 calorie): circa l’82%. Una volta fuori da scuola, solo un bambino su 10 pratica attività fisica in modo adeguato alla sua età. Uno su quattro non ha svolto alcun tipo di esercizio fisico il giorno prima dell’indagine.
A casa è la televisione ad avere il sopravvento: almeno la metà ne possiede una in camera propria. In molti casi i genitori sembrano non accorgersi del problema: secondo Renata Lorini, pediatra dell’università di Genova: «quattro mamme su dieci di bimbi in sovrappeso non ritengono che il proprio figlio abbia un peso eccessivo rispetto all’altezza».
La European association for the study of diabetes (Easd) e la Federazione diabete giovanile riconoscono la prevenzione e il trattamento dell’obesità come «il più importante problema di salute pubblica in tutto il mondo». Oltre alla rilevanza sanitaria, infatti, l’obesità e il sovrappeso infantile generano costi sanitari e farmaceutici significativi per l’intera società.

martedì 6 aprile 2010

Il riscaldamento più caro d'Europa

Il riscaldamento più caro d'Europa

In Italia le famiglie pagano il gasolio domestico +51% rispetto al prezzo medio U http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/economia/201004articoli/53862girata.asp

Il gasolio da riscaldamento in Italia è il più caro d’Europa, in una misura scandalosa: costa il 51% più della media Ue, e il doppio del Paese dove si paga meno in assoluto. Questo succede al lordo delle tasse, ma anche al netto non è che stiamo tanto meglio: scendiamo dal primo al terzo posto in Europa nella classifica dei più cari, perciò 25 Stati dell’Unione su 28 pagano meno di noi.

Il problema emerge dall’ultimo aggiornamento disponibile sul sito internet del ministero dello Sviluppo economico, e riguarda le famiglie che ancora non hanno installato impianti a metano (oppure il teleriscaldamento); se invece hanno il riscaldamento a gas naturale pagano un po’ meno, però restano funestate da una tassazione fra le più alte del continente, e il presidente di Federconsumatori Rosario Trefiletti sottolinea un aspetto particolarmente irrazionale delle disposizioni fiscali: «Se una famiglia stipula un contratto di fornitura del metano per cucina più riscaldamento paga l’Iva al 20 per cento, invece si fa il contratto per solo uso cucina se la cava col 10 per cento. Questa è una delle disposizioni più inique che ci siano».È il momento giusto per fare bilanci sulle spese di riscaldamento perché proprio in questi giorni i termosifoni si stanno gradualmente spegnendo. La legge che regola il riscaldamento domestico prevede la suddivisione dell’Italia in sei zone climatiche. In tre di queste zone (la A, la B e la C) i termosifoni sono stati spenti il 31 marzo; in altre due (la D e la E) si può accendere ancora fino al 15 di questo mese, mentre nella sesta non ci sono limitazioni. Da qualche giorno, quindi, in molte città del Sud comprese Napoli, Palermo, Bari, Catanzaro, Reggio Calabria, Cagliari, ma anche in qualche comune del Centro, i termosifoni sono stati spenti (o almeno dovrebbero esserlo stati) e si tirano le somme di quanto si è speso. Il bilancio è molto negativo: in Italia il gasolio per riscaldamento costa ben 1,164 euro al litro, contro 0,768 della media europea. Si tratta del prezzo più alto in assoluto fra tutti i 29 Paesi dell’Unione. L’Italia è tallonata dall’Ungheria, dove per un litro di gasolio servono 1,145 euro. Al terzo posto viene la Danimarca (1,141 euro al litro) mentre il Paese più economico risulta il Lussemburgo, dove per riscaldare gli appartamenti con il gasolio bastano 0,574 euro. I maggiori Paesi europei paragonati a noi hanno prezzi molto più contenuti e in linea con la media: la Francia si ferma a 0,700 euro al litro, la Germania a 0,678, la Spagna a 0,668 e la Gran Bretagna all’equivalente di 0,607 euro al litro. Tra primo e ultimo posto in classifica corrono 0,59 euro; per vederla in un altro modo, in Italia il gasolio da riscaldamento costa più del doppio che in Lussemburgo e quasi il doppio di Belgio e Gb.Ipotizzando un utilizzo di mille litri di gasolio per il riscaldamento dell’abitazione, la famiglia italiana paga quasi 1.200 euro, contro i nemmeno 600 di una lussemburghese. Se anziché il gasolio usa il metano, la famiglia italiana media spende circa mille euro fra riscaldamento e cucina. Per caso la differenza a nostro danno rispetto all’Europa sarà colpa delle tasse? No. Anche eliminando questa voce, che peraltro pesa notevolmente, l’Italia si piazza molto male nel panorama europeo: il prezzo industriale del suo gasolio per riscaldamento è infatti pari a 0,567 euro al litro, al terzo posto in classifica dietro a quelli occupati da Irlanda e Danimarca, mentre in altri 25 Paesi si spende meno.

sabato 3 aprile 2010

TASSE/ Campiglio: Caro Tremonti, la tua riforma fiscale penalizza le famiglie

TASSE/ Campiglio: Caro Tremonti, la tua riforma fiscale penalizza le famiglie

Intervista a Luigi Campiglio

Ieri il Dipartimento delle Finanze ha comunicato i dati relativi alle dichiarazioni fiscali del 2009: emerge che oltre la metà degli italiani ha denunciato redditi inferiori ai 15.000 euro all’anno. Inoltre, meno dell’1% dei contribuenti ha superato quota 100.000 euro. Dati che arrivano il giorno dopo il grande annuncio del ministro dell’Economia Giulio Tremonti: la riforma del sistema fiscale da attuare entro tre anni, data di scadenza dell’attuale legislatura. Un progetto ambizioso basato su tre pilastri: spostamento progressivo del carico dell’Irpef alle imposte indirette come l’Iva; il federalismo fiscale; la lotta all’evasione. Inoltre, il ministro ha ipotizzato di inviare a casa degli italiani la dichiarazione dei redditi pre-compilata per semplificare le procedure fiscali. Una riforma importante, che però dimentica, spiega a ilsussidiario.net Luigi Campiglio (prorettore dell’Università Cattolica di Milano e docente di Politica Economica), le famiglie.

Professore, il progetto di riforma fiscale di Tremonti si basa innanzitutto sul passaggio della tassazione dalle persone alle cose. Una buona mossa?

Il disegno di Tremonti è un passaggio desiderabile: volendo disegnare un sistema fiscale a tavolino andrebbe più che bene. Ci sono però dei costi di transizione per passare da un sistema incentrato sulle imposte dirette a un altro basato su quelle indirette (che è simile al modello fiscale francese). Per compensare il minor gettito d’imposta, nei primi anni si dovrà quindi almeno aumentare l’Iva e questa non è un’operazione “tranquilla”. In ogni caso il nuovo modello ha più virtù che limiti.
Questo nuovo progetto sembra però dimenticare punti del programma della maggioranza quali l’introduzione del quoziente famigliare, l’abolizione o il calo dell’Irap e la diminuzione delle aliquote Irpef.

La scorsa settimana ho partecipato alla presentazione del Rapporto del Centro internazionale studi famiglia cui ha presenziato anche il presidente della Camera Gianfranco Fini. Con l’occasione gli ho chiesto: secondo lei, in che modo si riuscirà a far entrare la famiglia nell’agenda politica?

Una domanda “maliziosa”, perché presuppone che la famiglia sia stata messa da parte. Fini ha spiegato che probabilmente occorre una visione più ampia di quali sono le categorie più deboli, ma implicitamente ha riconosciuto “l’emarginazione” della cellula fondamentale della società.

Questo per un problema economico? Cioè, la questione è che mancano risorse economiche per introdurre il quoziente famigliare?

Immagino che non sia solo un problema economico. Tremonti probabilmente ritiene che tutta la questione della famiglia sia esclusivamente un fatto attinente il mondo cattolico. Non capisce che è anche la base per la ripresa del paese.

Come lei diceva, il quoziente famigliare era nel programma elettorale della maggioranza: che fine ha fatto adesso? Secondo lei perché non viene introdotto?

Perché si dice che il quoziente famigliare è un costo (la cifra indicata è di circa 8 miliardi): ma a chi costa? La risposta in realtà è “alle famiglie stesse”. Mi spiego: dire che sia un costo, significa ammettere implicitamente che un’ampia fascia di famiglie italiane sta pagando più imposte del necessario per 8 miliardi di euro. In una situazione così delicata per tanti aspetti (in particolare demografico e congiunturale) come quella che stiamo vivendo, avere un’imposta “occulta” che pesa sulle famiglie, soprattutto quelle che hanno reddito dipendente, è una cosa che va al di là del bene e del male.

Mi scusi, ma liberare le famiglie da imposte per 8 miliardi di euro potrebbe permettere di aumentare la loro capacità di spesa. Se nel contempo la tassazione si sposta sui consumi sarebbe anche possibile “recuperare” gli 8 miliardi a cui si rinuncia.

Certamente. E per questo sostengo che il quoziente famigliare (o comunque le politiche fiscali in favore della famiglia) sia un ottimo strumento per favorire la ripresa e lo sviluppo economico: si possono infatti stimolare i consumi in un momento importante come quello attuale. Rinunciare a un’imposta “occulta” potrebbe quindi avere i suoi vantaggi in un periodo relativamente breve.

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