Tasse a misura di famiglia
Lanciata una nuova proposta di riforma fiscale dal Forum delle associazioni familiari sostenuta anche dalla Cisl
«Parole, parole, parole». Non sono solo il testo di una celeberrima canzone di Mina, ma anche le chiacchiere che sempre sono state fatte su una riforma fiscale a misura di famiglia. Da parte di tutti: istituzioni, partiti e sindacati.
«La priorità della riforma è la famiglia», è tornato ieri a dichiarare il ministro Tremonti sul cantiere del fisco appena aperto. Staremo a vedere se dalle buone intenzioni si passerà ai fatti. Il recente rapporto sulla povertà ed esclusione sociale presentato da Caritas e Fondazione Zancan ha evidenziato come «la principale vittima della povertà e dell’impoverimento» siano proprio le famiglie che solo nel 45 per cento dei casi sono al riparo della crisi in corso. Tutte le altre, il 55 per cento su 11 milioni di famiglie in Italia, hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, a onorare gli impegni presi e i debiti pregressi.
E, proprio nel giorno in cui si è aperto il tavolo di confronto tra governo e parti sociali sulla riforma fiscale, è stata lanciata dal Forum delle famiglie in unità d’intenti con la Cisl una nuova proposta di riforma del fisco denominata “Fattore famiglia”.
E mentre nel dibattito politico si sente spesso parlare di quoziente familiare, rifacendosi alle esperienze virtuose di Francia e Germania, di fatto tale prospettiva è stata già abbandonata dall’associazionismo cattolico per alcuni difetti congeniti quali il fatto di favorire i redditi più alti e scoraggiare il lavoro delle donne sposate. Il quoziente familiare è di per sé una proposta positiva perché per la prima volta considera la famiglia nel suo complesso come soggetto tassabile, supera l’individualismo che ha permeato anche il fisco facendo considerare solo l’individuo e non la persona con le sue relazioni, in primo luogo familiari.
Alla giusta obiezione che il quoziente familiare favorirebbe i redditi più alti, il Forum fa una nuova proposta prevedendo un’area non tassabile proporzionale ai carichi familiari: più persone sono presenti nel nucleo, maggiore sarà il reddito non sottoposto a tassazione. Si considera una No tax area partendo da un reddito medio di sette mila euro, la soglia di povertà per l’Istat, per una persona che vive da sola, fino a 42 mila euro di reddito per una famiglia con otto componenti. A differenza del quoziente familiare, il fattore famiglia agisce partendo dalla parte bassa del reddito e prevede aliquote impositive maggiori per redditi più alti. In tal modo si garantisce equità di vantaggio tra redditi bassi, medi e alti. Il peso dei figli viene adeguatamente riconosciuto e offre al federalismo fiscale una misura della ricchezza familiare che assicura parità di trattamento a livello nazionale e possibilità di intervento differenziato tra regioni e negli enti locali. Se si applicasse subito per tre figli a carico, costerebbe alle casse dello Stato 0,9 miliardi di euro. A regime, per tutti i figli, la cifra ammonta a 16 miliardi di euro. Si potrebbe cominciare dai più poveri e dalle famiglie con redditi più bassi. Il maggiore reddito netto disponibile avrebbe ripercussioni positive sui consumi, sul gettito Iva, creando un circolo virtuoso di cui godrebbe l’intera società ed anche le casse dello Stato. Una sorta di volano nella logica del «date e vi sarà dato». Si spera, ora, che con l’appoggio della Cisl alla proposta e ad uno schieramento bipartisan in Parlamento si riesca a raggiungere l’obiettivo di una riforma fiscale a misura di famiglia.
Lanciata una nuova proposta di riforma fiscale dal Forum delle associazioni familiari sostenuta anche dalla Cisl
«Parole, parole, parole». Non sono solo il testo di una celeberrima canzone di Mina, ma anche le chiacchiere che sempre sono state fatte su una riforma fiscale a misura di famiglia. Da parte di tutti: istituzioni, partiti e sindacati.
«La priorità della riforma è la famiglia», è tornato ieri a dichiarare il ministro Tremonti sul cantiere del fisco appena aperto. Staremo a vedere se dalle buone intenzioni si passerà ai fatti. Il recente rapporto sulla povertà ed esclusione sociale presentato da Caritas e Fondazione Zancan ha evidenziato come «la principale vittima della povertà e dell’impoverimento» siano proprio le famiglie che solo nel 45 per cento dei casi sono al riparo della crisi in corso. Tutte le altre, il 55 per cento su 11 milioni di famiglie in Italia, hanno difficoltà ad arrivare a fine mese, a onorare gli impegni presi e i debiti pregressi.
E, proprio nel giorno in cui si è aperto il tavolo di confronto tra governo e parti sociali sulla riforma fiscale, è stata lanciata dal Forum delle famiglie in unità d’intenti con la Cisl una nuova proposta di riforma del fisco denominata “Fattore famiglia”.
E mentre nel dibattito politico si sente spesso parlare di quoziente familiare, rifacendosi alle esperienze virtuose di Francia e Germania, di fatto tale prospettiva è stata già abbandonata dall’associazionismo cattolico per alcuni difetti congeniti quali il fatto di favorire i redditi più alti e scoraggiare il lavoro delle donne sposate. Il quoziente familiare è di per sé una proposta positiva perché per la prima volta considera la famiglia nel suo complesso come soggetto tassabile, supera l’individualismo che ha permeato anche il fisco facendo considerare solo l’individuo e non la persona con le sue relazioni, in primo luogo familiari.
Alla giusta obiezione che il quoziente familiare favorirebbe i redditi più alti, il Forum fa una nuova proposta prevedendo un’area non tassabile proporzionale ai carichi familiari: più persone sono presenti nel nucleo, maggiore sarà il reddito non sottoposto a tassazione. Si considera una No tax area partendo da un reddito medio di sette mila euro, la soglia di povertà per l’Istat, per una persona che vive da sola, fino a 42 mila euro di reddito per una famiglia con otto componenti. A differenza del quoziente familiare, il fattore famiglia agisce partendo dalla parte bassa del reddito e prevede aliquote impositive maggiori per redditi più alti. In tal modo si garantisce equità di vantaggio tra redditi bassi, medi e alti. Il peso dei figli viene adeguatamente riconosciuto e offre al federalismo fiscale una misura della ricchezza familiare che assicura parità di trattamento a livello nazionale e possibilità di intervento differenziato tra regioni e negli enti locali. Se si applicasse subito per tre figli a carico, costerebbe alle casse dello Stato 0,9 miliardi di euro. A regime, per tutti i figli, la cifra ammonta a 16 miliardi di euro. Si potrebbe cominciare dai più poveri e dalle famiglie con redditi più bassi. Il maggiore reddito netto disponibile avrebbe ripercussioni positive sui consumi, sul gettito Iva, creando un circolo virtuoso di cui godrebbe l’intera società ed anche le casse dello Stato. Una sorta di volano nella logica del «date e vi sarà dato». Si spera, ora, che con l’appoggio della Cisl alla proposta e ad uno schieramento bipartisan in Parlamento si riesca a raggiungere l’obiettivo di una riforma fiscale a misura di famiglia.
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